Tarantinando #3 – Assassini nati (Natural Born Killers)

Ed eccoci qui giunti al terzo appuntamento della rubrica Tarantinando, dedicata al mai troppo lodato Quentin Tarantino. Dopo il primo film da lui diretto, Le Iene, e il secondo film da lui sceneggiato ma con regista Tony Scott, Una vita al massimo, oggi si continua con un film del 1994 con regista Oliver Stone (Platoon, Wall Street, JFK – Un caso ancora aperto), basato su una sceneggiatura del nostro Quentin: Assassini Nati – Natural Born Killers.

In questo frangente ho usato il termine “basato” non a caso, in quanto sembra che Tarantino non sia stato affatto contento dei rimaneggiamenti al suo materiale fatti da Stone, David Veloz e Richard Rutowski, tanto che alla fine ottenne di essere accreditato semplicemente come “autore del soggetto”.

Questo è forse indice del fatto che “Assassini nati” è un brutto film?

Non necessariamente. Anzi, personalmente direi il contrario. Però, per quanto non sappia esattamente quanto sia stata effettivamente rimaneggiata la sceneggiatura, non mi sento di dare contro a Quentin. Se io scrivessi un progetto, anche se poi dopo lo vendessi a qualcheduno, rimarrei come minimo quantomeno amareggiato se esso venisse poi modificato in modo sostanzioso.
Non avrei il diritto di lamentarmi con o insultare chicchessia, forse, avendo appunto scelto di delegarne la realizzazione ad altri, ma rimanerne delusi penso sia il minimo.
Poi, che Tarantino sia addirittura venuto alle mani con il produttore è un altro discorso.

Ma passiamo alla trama.

Mickey (Woody Harrelson) e Mallory (Juliette Lewis) sono due giovani assassini, responsabili di oltre 50 omicidi motivati da puro sadismo compiuti nel giro di poco tempo. Lui l’ha conosciuta salvandola da un padre violentatore e una madre indifferente, e da allora hanno iniziato a tracciare una lunga scia di sangue. Sulle loro tracce si pone il detective Jack Scagnetti (Tom Sizemore), con una personalità non meno oscura dei due, e a seguire la loro storia non mancano i media, capitanati dal giornalista e conduttore Wayne Gale (Robert Downey Jr), in quello che sembra un meccanismo di perversa reciprocità tra violenza e notizia…

La tematica principale del film è per l’appunto quella appena citata: la bilateralità simbiotica tra violenza e media, in cui la prima sembra spesso risultato dell’altra e la seconda non fa altro che amplificare e quasi glorificare a dismisura la prima.
È insomma una critica feroce, tagliente al meccanismo perverso di alimentazione reciproca alla base dei due fattori.

Questo comunque non significa che il regista pensi che siano i media a far diventare criminali.
In un’intervista ha infatti affermato che “Uno non è che guarda un film e poi decide di diventare un assassino” (perdonate se la citazione non è precisa al 100%, ma il significato è comunque quello).

“Assassini nati”, ad ogni modo, è sicuramente un film che colpisce, nel bene e nel male. Lo dimostrano le numerose critiche quanto lodi che ha ricevuto nel corso degli anni.

La violenza permea l’intera pellicola, nella migliore tradizione di Tarantino, e a questo si aggiunge una regia decisamente sperimentale, assolutamente allucinata come mai ho visto prima d’ora, un passaggio continuo tra stili differenti (il flashback sul passato di Mallory è ad esempio realizzato come fosse una sit-com, con tanto di risate registrate), un’alternanza tra colore e bianco e nero (che rappresentano una bipolarità tra ciò che “avviene” e ciò che “pensano” i personaggi), un montaggio praticamente schizofrenico continuamente intervallato da primi piani quasi satanici dei protagonisti, scene animate (in verità praticamente solo una, ripetuta più volte, con Mickey, rappresentato come un energumeno in lotta) e cambi di macchina ricorrenti.

Una delle sequenze in bianco e nero, verso l’inizio del film.

Insomma, un film decisamente non tradizionale, che tuttavia a mio parere, perlomeno per come l’ho percepito io, non coglie pienamente il suo intento critico.
Non che non ce ne sia l’intenzione, dichiaratamente espressa tra l’altro in un bel dialogo verso la fine del film, però non so, è come se fosse stata gestita in modo incompleto.
Ripeto, per come l’ho percepita io. Poi non è che fosse necessario incentrare su questo intento il film intero (cosa che, ripeto, non era nelle intenzioni di Quentin), rimane un sottotesto interessante e anche ben gestito.

I personaggi sono senz’altro memorabili, dal Gale di Downey Jr al direttore del carcere in cui si svolgono le ultime scene del film, interpretato da un Tommy Lee Jones sopra le righe e divertentissimo da vedere e ascoltare. Buoni anche i protagonisti, che però non credo rientreranno nella mia classifica di maggior gradimento di personaggi di film tarantiniani, se mai ne farò una.

Piccola curiosità prima di chiudere: nelle intenzioni iniziali di Tarantino, questo film e Una vita al massimo avrebbero dovuto essere una cosa sola, con Clarence e Alabama che nella seconda parte diventavano quelli che qui sono Mickey e Mallory. In seguito ha cambiato idea e ne ha reso due sceneggiature distinte.

Tirando le fila, un film denso di emozioni, che accontenterà sicuramente i fan della violenza cinematografica e con altrettanta probabilità allontanerà molte altre persone. I dialoghi memorabili sono presenti pure qui, anche se forse si sente un po’ meno la mano tarantiniana (non ricordo di nessuno che dà del “negro” a qualcun altro, ad esempio… Sporchi razzisti! Scherzo, ovviamente…), e con una regia caotica ma seguibile e decisamente autoriale viene confezionato un piccolo gioiellino.

Voto finale: 8 ½

Al prossimo appuntamento, con Pulp Fiction!