Tarantinando – A volo d’angelo sul maestro di Pulp Fiction

Quentin Tarantino, uno dei registi più popolari e influenti del panorama mainstream contemporaneo, lo ha chiarito ormai da diversi anni: non è nelle sue intenzioni continuare a dirigere pellicole cinematografiche sino alla vecchiaia. Come ha chiarito in alcune interviste, suo desiderio è invece fermarsi a un numero virtualmente “ideale” di progetti, per la precisione dieci film.

Diversi suoi lavori hanno raggiunto lo status di cult, e non è raro che tanto cineasti esordienti quanto navigati inseriscano riferimenti ai suoi film o tentino di emularne lo stile di narrazione, montaggio o strutturazione della storia. È quasi una regola che le sue produzioni siano ogni volta accolte dal plauso di pubblico e critica (soprattutto negli ultimi anni) e, anche quando una sua opera non ottiene il successo sperato, c’è sempre uno “zoccolo duro” di appassionati pronto a tesserne le lodi.

Ogni epopea, però, deve prima o poi finire. Il suo più recente film, C’era una volta a… Hollywood, uscito nel 2019, è il nono lavoro del regista (Tarantino considera infatti i due “volumi” di Kill Bill come un’unica entità).

In attesa del capitolo finale – per il quale è ancora incerto su cosa verterà o quando uscirà, siccome ogni anno spuntano sempre diverse voci su possibili progetti di Tarantino, le quali poi, il più delle volte, si dimostrano per l’appunto solo voci -, facciamo dunque insieme una panoramica cronologica sulla produzione dell’acclamato regista, spendendo due parole per ognuna delle sue opere.

1) Le Iene (1992)

Per un esordiente non è compito facile dirigere un film, in quanto entrano in gioco fattori come l’inesperienza e il fatto di stare ancora definendo il proprio stile; in parole povere, ciò che si “vuole” (e come) imprimere su pellicola. Eppure, a distanza di quasi trent’anni, in molti continuano a considerarlo uno dei suoi lavori più memorabili. Fin dagli inizi Tarantino ha ben chiare le impronte stilistiche che diverranno costanti nella sua filmografia: un montaggio non cronologico, che fa continui salti avanti e indietro nel tempo; dialoghi serrati anche in contesti puramente quotidiani, che caratterizzano i personaggi senza fornire una vera progressione alla storia; una violenza spettacolarizzata ma mai volgare e raramente gratuita. Tra gli esempi di influenza culturale del film: uno dei maggiori programmi italiani di approfondimento, Le Iene, ha preso ispirazione da esso per il nome e l’abbigliamento dei suoi inviati, tutti in completi eleganti neri con cravatte.

2) Pulp Fiction (1996)

Uma Thurman e John Travolta ballano insieme in una delle scene più celebri del film.

Senz’altro il lavoro più conosciuto e maggiormente citato del regista. Un cult assoluto degli anni ’90 con un cast eccezionale, che comprende attori del calibro di John Travolta, Bruce Willis e Samuel L. Jackson. Una pellicola che ha offerto all’immaginario collettivo scene indimenticabili, come quella del ballo di Travolta e Uma Thurman, o la sequenza di Mr. Wolf il “risolutore di problemi”, oltre a dialoghi entrati nella leggenda, come la (fittizia) ripresa biblica “Ezechiele 25.17” pronunciata dal personaggio di Jackson. Ogni critico ha la sua opinione sul fatto che sia o meno il progetto migliore di Tarantino, ma è fuor di dubbio che sia la sua magnum opus, la sua opera più importante e influente.

3) Jackie Brown (1997)

Primo e unico dei suoi film basato su una storia non originale (è infatti tratto dal romanzo Punch al rum di Elmore Leonard), è probabilmente il meno “tarantiniano” della sua produzione. L’azione è ridotta e, per quanto la tensione rimanga palpabile in diversi momenti della pellicola e l’interpretazione del cast sia di alto livello, la scrittura sembra molto più “standard” rispetto a quella cui il regista aveva abituato il pubblico sino ad allora. Nell’ultima mezz’ora, però, Tarantino torna a rendersi più riconoscibile imprimendo una netta virata al fluire degli eventi, che rimangono comunque una progressione ragionevole di quanto visto sino a quel momento nel corso della storia. Un film poco apprezzato alla sua uscita, ma che negli anni seguenti è stato rivalutato tanto dalla critica quanto dal pubblico.

4) Kill Bill (2003-2004)

Uma Thurman in uno dei combattimenti del primo film, con la sua tuta gialla a righe nere oramai divenuta iconica.

Diviso in Volume 1 e Volume 2, rappresenta un regalo di Tarantino nei confronti di Uma Thurman, sua amica, già tra gli interpreti principali di Pulp Fiction e “musa ispiratrice” del regista. Nonostante venga considerato da Tarantino stesso come un film unico (anche perché le due parti sono state girate insieme), è facile capire la decisione di farne due pellicole. Da un lato c’è la questione del tempo, con una durata di circa quattro ore complessive; dall’altro c’è il fatto che le due metà abbiano comunque elementi distintivi, con la prima di gusto prettamente orientale (colma qual è di riferimenti a film di arti marziali e persino con un segmento animato in stile anime giapponese), mentre la seconda ispirata più a western americani e italiani. Una revenge story costruita su un tripudio di azione spettacolare, con personaggi e dialoghi memorabili (come il discorso di Bill – bersaglio della vendetta della protagonista – nel secondo “volume”, sulla filosofia di Superman).

5) Grindhouse – A prova di morte (2007)

Omaggio al cinema grindhouse (nato tra gli anni sessanta e settanta negli Stati Uniti), identificato da pellicole di serie B permeate da una forte dose di violenza e spesso anche di sesso. A prova di morte fu creato come uno “spettacolo doppio”, da associare in fase di visione a Grindhouse – Planet Terror del grande amico regista Robert Rodriguez, nonostante i due film siano di generi diversi (quello di Tarantino un simil-slasher, quello di Rodriguez un horror fantascientifico) e non abbiano collegamenti l’uno con l’altro se non per la presenza di un personaggio di contorno. Viene generalmente considerato uno dei lavori più “deboli” di Tarantino, per quanto abbia comunque ricevuto lodi per la rappresentazione di personaggi femminili forti e di un antagonista (interpretato da Kurt Russell) diabolicamente carismatico. Una storia principalmente “on the road” che si configura per la gran parte come un inseguimento al cardiopalma in cui è in gioco la vita delle protagoniste.

6) Bastardi senza gloria (2009)

Ambientato durante la seconda guerra mondiale in Germania, nasce ispirandosi a film di guerra quali Quel maledetto treno blindato e Quella sporca dozzina, naturalmente con la solita impronta personale di Tarantino. Consiste anche nel primo vero esempio di “storia alternativa”, altresì detta ucronia, della filmografia tarantiniana: un caso in cui gli eventi prendono una piega diversa dalla storia canonica del mondo reale. Tarantino stesso ha confermato che tutti i suoi film sono collegati dall’essere sulla stessa linea temporale di questo “universo parallelo”. Quanto al film in sé, si tratta di un’opera basata prevalentemente sulla suspense, dato che i personaggi si trovano spesso in situazioni critiche in cui il loro obiettivo è non farsi scoprire dai nemici. A ciò si affiancano, naturalmente, tarantiniane esplosioni di violenza, le quali sono però tutt’altro che gratuite, considerando anche lo sfondo bellico. Peculiare la scelta di presentare, in modo organico nella storia, intere scene dialogate in diverse lingue con l’ausilio di sottotitoli per il pubblico; cosa che ha permesso a Christoph Waltz (interprete del Colonnello Landa, ufficiale nazista principale antagonista del film) di dimostrare la sua maestria nel parlare, oltre all’inglese, anche tedesco, francese e persino italiano (contribuendo forse a fargli vincere l’Oscar come miglior attore non protagonista per tale ruolo).

7) Django Unchained (2012)

Jamie Foxx veste i panni dello schiavo ribelle Django Freeman.

In questo film, omaggio agli spaghetti-western (uno dei generi cinematografici più cari al regista), Tarantino tocca le tematiche della schiavitù e del razzismo nei confronti della gente di colore, temi tutt’oggi ancora caldi negli Stati Uniti. Ciò che ci viene presentato è un ritratto crudamente brutale e affatto edulcorato di un periodo storico che alcuni cercano quanto possibile di fare finta che non sia mai esistito. C’è comunque spazio per l’amicizia, con il rapporto tra lo schiavo Django (protagonista eponimo, interpretato da Jamie Foxx) e il dentista teutonico Schultz (un nuovamente ottimo Christoph Waltz), ma anche per un’avventura piena di tensione, con elementi non dissimili dal precedente Bastardi senza gloria, tra cui una “infiltrazione” in una piantagione di schiavi. La trama ha come obiettivo principale quello del salvataggio di una singola persona (nel caso specifico la moglie di Django), ma metaforicamente assurge anche a “vendetta” postuma, pur se scanzonata, verso un’epoca e le persone che l’hanno resa possibile, presentando verso la fine elementi di quella stessa “ucronia” di Bastardi senza gloria, con una parziale riscrittura della storia fondata sul sentimento di giustizia dell’autore.

8) The Hateful Eight (2015)

Altro film che molti ritengono “anomalo” nella produzione di Tarantino, per via del suo essere piuttosto “claustrofobico”, ambientato quasi interamente in un emporio nel mezzo del nulla in cui i personaggi sono bloccati a causa di una bufera. Un campionario di diversa umanità si ritrova ad affollare l’isolata abitazione, formando attriti fra i suoi residenti in un’atmosfera colma di suspense che ricorda una fusione tra I soliti sospetti e Dieci piccoli indiani. Un altro western, come Django, che stavolta presenta però elementi da thriller giallo, in cui alcuni personaggi non sono ciò che sembrano e i colpi di scena si susseguono.

9) C’era una volta a… Hollywood (2019)

Una dichiarazione d’amore di Tarantino nei confronti del “periodo d’oro” di Hollywood, gli anni sessanta che hanno dato vita a molte opere di cui egli stesso è stato avido consumatore in gioventù. Una rappresentazione forse idealizzata, ma in cui non mancano comunque tanto le luci quanto le oscurità. Il ritmo della pellicola potrà risultare lento, ma si dimostra efficace per fornire un ritratto dei personaggi e delle loro traversie personali, con sullo sfondo l’inquietante ombra della Manson Family (setta attiva alla fine degli anni sessanta, che fu responsabile dell’omicidio di diverse persone, alcune delle quali legate al mondo dello spettacolo). Senza rovinare nulla, da notare che la pellicola è un’ulteriore incarnazione del già menzionato trend tarantiniano iniziato con Bastardi senza gloria e continuato con Django Unchained.

 

Arriviamo quindi al presente. Siamo giunti quasi al termine del viaggio, per quanto è improbabile che il maestro di Knoxville smetterà di dedicarsi totalmente al cinema anche dopo la “pensione”.

Come si diceva, ancora non si sa quale sarà il prossimo e, si suppone, ultimo progetto di Quentin Tarantino, sempre se ce ne sarà uno in primo luogo. Da alcune recenti interviste emerge indecisione circa il fatto se il regista abbia o meno dato tutto quello che aveva da dare al cinema, mantenendosi sul vago in merito ai possibili futuri lavori. Ad esempio, è da anni che si favoleggia di un seguito di Kill Bill, ma, per quanto il regista abbia mostrato un vago interesse per l’idea in passato, nulla se n’è mai fatto. Poco tempo fa, poi, è emersa la voce che egli avrebbe potuto dirigere una prossima incarnazione cinematografica di Star Trek, ma il progetto rimane ancora ammantato in una cappa nebulosa di incertezza.

Quale che sia il futuro di Quentin Tarantino in qualità di regista, produttore o qualunque altro ruolo legato al mondo del cinema e non, una cosa è però sicura. Il suo contributo all’immaginario collettivo degli ultimi trent’anni è stato significativamente rilevante e, per quanto si possa dibattere se egli sia o meno elevato dalla massa a uno status superiore rispetto a quanto artisticamente meriterebbe, il fatto di essere entrato nel cuore di così tante persone lo rende senza mezzi termini uno dei “grandi” della cultura popolare contemporanea.

 

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