Casty e la sensibilizzazione socio-ecologica su Topolino – Parte 2

Senza inutili preamboli, riprendiamo da dove ci eravamo lasciati con l’ultimo articolo (chi se lo fosse scordato lo vada a rileggere, in fondo è passato diverso tempo), introducendo una nuova sezione.

La distopia nell’utopia:
Quando un ideale si trasforma in un incubo

Nella storia Topolino e la marea dei secoli (sui Topolino numeri 2918 e 2919), ci viene presentato un interessante ribaltamento e decostruzione del concetto di colonialismo, che si approccia anche al tema dell’influenza dell’uomo sull’ambiente.

Per farla breve, il racconto parla di viaggi temporali e l’antagonista è un viaggiatore del tempo che ha cambiato il corso della storia, fornendo ai Maya del secolo XIV tecnologie e conoscenze al di là persino delle nostre attuali, così che loro potessero conquistare il resto del pianeta creando un impero di cui il crononauta fosse il leader.

Con l’obiettivo di rendere il mondo un’utopia ipertecnologica e pacifica, in cui i cittadini vivano in una beata, eterna e placida ignoranza, il viaggiatore del tempo arriva a sacrificare gli interi continenti di Europa ed Africa, rendendo il primo una discarica a cielo aperto dal clima perennemente instabile (a causa di macchinari per il controllo climatico che assicurano il bel tempo in altre parti del mondo), mentre il secondo un’infinita distesa di fabbriche per il sostentamento del resto del globo. Bloccati in un perenne e immutato presente, gli abitanti del “nuovo mondo” creato dall’antagonista della storia non conoscono il passato né si preoccupano del futuro, negando il concetto stesso su cui, secondo alcune interpretazioni, si baserebbe la modernità, ossia il progresso inteso come “superamento dell’esistente”.[1]

Topolino si confronta verbalmente con il viaggiatore temporale che ha creato quello che egli ritiene essere il “mondo perfetto”, nell’ultimo capitolo di “Topolino e la marea dei secoli”.

Per quanto il messaggio esplicitato della storia sia a livello principalmente etico (“Se c’è un dittatore che la impone, non è uguaglianza, né tantomeno libertà!”, dice Topolino nell’ultimo capitolo) , a un occhio più adulto le tematiche avvolgono chiaramente anche altri temi d’attualità: ad esempio, lo sfruttamento di certe parti del mondo per garantire il benessere dei paesi più “privilegiati”; o le modificazioni artificiali del clima, con una lunga storia di contestazioni nel mondo scientifico e accademico.[2]

Una delle storie maggiormente mature e con interpretazioni a più livelli di quelle proposte da Casty nel corso degli anni, e che personalmente parlando considero forse la mia favorita.

Concludiamo con un’altra delle epopee più ricordate di Andrea Castellan: Topolino e il mondo che verrà. In essa, Topolino deve fermare le mire di un’organizzazione guidata dalla Spia Poeta (suo antico nemico), che intende utilizzare un progetto denominato “Il mondo che verrà” per il dominio mondiale.

Tale progetto era stato concepito per scopi pacifici: tramite l’utilizzo di quattro robot molto avanzati piazzati agli angoli del globo, gli architetti del programma avrebbero potuto apportare qualunque cambiamento desiderassero al clima e alla conformazione del pianeta; ad esempio rendendo i deserti delle distese coltivabili, erigendo barriere a protezione dei luoghi troppo ventosi, e così via dicendo. Di diverso avviso è Nico, finanziatore della Spia Poeta, a capo di una piccola nazione ma dall’animo di un industriale, il quale ha come pallino la cementificazione sfrenata. Il suo obiettivo è infatti rendere il mondo intero un’infinita distesa urbana, facendosi aiutare in ciò dal progetto del “Mondo che verrà”.

Chiara è la critica nei confronti del capitalismo che tutto schiaccia sotto di sé, natura in primis, e ancora una volta la tematica ambientalista del lavoro di Castellan è più che chiara. In fondo, come sostenuto dall’eminente filosofo Murray Bookchin (tra i primi pensatori occidentali a identificare la crescita imperativa del capitalismo come una minaccia all’integrità degli ecosistemi), “le preoccupazioni sociali ed ecologiche sono fondamentalmente inscindibili”.[3]

Il suggestivo discorso finale del Re della Lusitania, a capo del progetto “Il mondo che verrà”, associato a una carrellata di immagini che mostrano il destino dei robot che avrebbero potuto cambiare (in peggio o in meglio) il mondo.

Nel finale, i cattivi vengono sconfitti e il controllo sul “Mondo che verrà” torna nelle mani dei fautori originari. Costoro, però, nonostante le enormi possibilità, decidono di smantellare tutto; chiestogli da Topolino e compagni il motivo, il capo del progetto risponde con un discorso rimasto nella storia Disney:

“Perché abbiamo capito che, anche se costruiamo giganti per dimostrare che non siamo piccoli, di questo mondo siamo solo ospiti tra i tanti, e non i padroni!” [4]

Una lezione di umiltà incantevole nella sua poetica, rafforzata dalle immagini con cui è presentata nelle vignette in cui è pronunciata.

Conclusioni

Abbiamo qui avuto modo di dare una breve occhiata al lavoro di un uomo che ha tra le sue missioni principali quella dell’intrattenimento verso i più piccoli. Nel suo operato egli riesce però ad essere al contempo anche educativo e interessante, riuscendo a coinvolgere con trame accattivanti e presentando situazioni le quali, per quanto semplificate siano, non mancano di fare riferimento a fatti e situazioni reali.

La critica del mondo che ci circonda è un’attività in cui gli artisti si impegnano da millenni, al fine di cercare di instillare un sentimento di consapevolezza dei problemi del mondo che porti a un cambiamento positivo. In tempi recenti, il cambiamento climatico è senza dubbio un tema prioritario sul quale concentrare gli sforzi, anche in considerazione di quanto impellente sia trovare modi per contrastarlo.

Studi scientifici hanno calcolato che se, per il 2200, non si sarà evitato un aumento della temperatura globale di 1,5° C, i danni cui la società incorrerà per allora sono stimati intorno ai 496 trilioni di dollari. Per evitarlo sarebbe sufficiente investire annualmente una cifra compresa tra gli 1,46 e 3,51 trilioni di dollari entro il 2050.[5] Il che, nel complesso, farebbe arrivare a una cifra totale di tre-quattro volte minore di quella che servirebbe per riparare in un secondo tempo ai problemi causati dall’aumento della temperatura.

Il problema di questo ragionamento è però che raramente si pensa al “domani”, specialmente se nel farlo si prevede del denaro da sborsare “oggi”. Il nostro sistema economico, fondato su un capitalismo indirizzato verso un’espansione in continua crescita, non si può permettere frenate nel suo progresso, a costo di arrivare al collasso dello stesso ambiente in cui viviamo; posizione esplicitata nella cosiddetta “teoria del crollo” – l’idea, cioè, che il capitalismo sia destinato a implodere, declinata […] sul piano ecologico. (l’ipertrofia metabolica conduce a un destino catastrofico)”[6]

Le risorse naturali non sono infinite, e uno dei problemi principali dinanzi alla volontà di un eterno sviluppo economico è che per la Terra non è possibile sopportare tutto ciò senza contraccolpi. In effetti, come riporta il politologo tedesco Ulrich Brand, la critica più significativa alla critica economica negli ultimi 40 anni e la rivendicazione per una cresciuta “qualitativa” hanno girato attorno all’argomento dei limiti ecologici alla crescita.[7]

Uno dei motivi per cui ci troviamo in primo luogo in una situazione del genere è che il nostro sistema economico capitalistico si basa a livello fondante sul concetto stesso di espansione. La crescita deve essere costante e le risorse sfruttate, capitalizzate, investite, al fine di generare sempre nuovi introiti e con essi possibilità di investimento e di guadagno. La stasi, e più ancora la decrescita, sono aberrati, considerati una situazione maligna in cui le attività falliscono, i posti di lavoro si perdono e i guadagni ristagnano.[8]

Insomma, quello capitalistico è un sistema in cui si tende sempre all’incremento; così facendo, però, si rischia anche il collasso, dato che il processo va ad intaccare le risorse naturali a un livello superiore a quello in cui siano disponibili. Cosa che sta in effetti accadendo.

Tutti questi motivi rendono importante avere persone che facciano del loro meglio per sensibilizzare il prossimo in merito alle storture del nostro mondo, a partire proprio da coloro che un giorno erediteranno siffatte iniquità, volenti o nolenti. Poiché, per citare nuovamente Casty da una delle storie di cui si è parlato in precedenza, “il futuro è sempre in movimento e dipende dalle scelte che facciamo noi… e che un domani farete voi!”

Speriamo, dunque, che saranno le scelte giuste e che, quando giungerà il momento di prenderle, non sarà ormai troppo tardi.

[1] Salvo Torre, Alice Dal Gobbo, Maura Benegiamo, Il pensiero decoloniale: dalle radici del dibattito ad una proposta di metodo, in “ACME: An International Journal for Critical Geographies”, https://iris.unitn.it/retrieve/handle/11572/268774/374683/ACME%20Pensiero%20decoloniale.pdf , settembre 2020

[2] Elisabetta Intini, Un test per alterare artificialmente il clima, in “Focus.it”, https://www.focus.it/scienza/scienze/esperimenti-di-geoingegneria-solare-harvard, 21 agosto 2019

[3] Stefan Gaarsman Jacobsen (a cura di), Climate Justice and the Economy: Social mobilization, knowledge and the political (Routledge Advances in Climate Change Research), Editore Routledge, 2018, pag. 170, traduzione mia

[4] Andrea Castellan, Topolino e il mondo che verrà, in “Topolino n. 2724”, 12 febbraio 2008

[5] O. Hoegh-Guldberg, D. Jacob [et. al], The human imperative of stabilizing global climate change at 1.5°C, in “ScienceMag.org”, https://foresta.sisef.org/contents/?id=efor0489-0040451&lang=it, 20 settembre 2019

[6] Emanuele Leonardi, Lavoro natura valore. André Gorz tra marxismo e decrescita, Editore Orthotes, 2017, pag. 160

[7] Stefan Gaarsman Jacobsen (a cura di), Climate Justice and the Economy: Social mobilization, knowledge and the political (Routledge Advances in Climate Change Research), Editore Routledge, 2018, pag. 150, traduzione mia

[8] Ekaterina Chertkovskaya [et al.], Towards a Political Economy of Degrowth, Editore Rowman & Littlefield Publishing, 2019, pag. 40