Scott Pilgrim Takes Off – Davvero non c’è bisogno di un adattamento fedele al fumetto?

È ormai uscita da diversi giorni Scott Pilgrim Takes Off, nuova serie di Netflix ambientata nell’universo di Scott Pilgrim, a cui ha collaborato lo stesso creatore del fumetto originale, il canadese Bryan O’Malley.

Per chi non conosca il fumetto, consiglierei in primo luogo di leggerlo, ovviamente. Ma se volete continuare la lettura, sappiate solo che è un’ode alla cultura pop fine anni ’80 – anni ’90, in cui Bryan ha riversato amore, citazioni e omaggi a tutto spiano di videogiochi, serie TV e situazioni sociali di quegli anni; ma Scott Pilgrim è anche una storia di gioventù, amore, amicizia, relazioni e, soprattutto, di crescita e maturazione personale.

Il protagonista Scott Pilgrim, nel corso del fumetto, si trova diverse volte a dover fare i conti con il suo passato, rendendosi conto che la vita è più che solo nera o bianca, e venendo costretto a imparare nuove cose su sé stesso e sui suoi rapporti con chi gli sta intorno.

Da qualche tempo era stata annunciata una nuova serie animata basata su Scott Pilgrim, cosa che ha comprensibilmente mandato i fan in visibilio.
Nel 2010 era già uscito un adattamento in live action molto ben fatto, Scott Pigrim vs. The World, che con il suo tono sopra le righe (grazie tanto alle situazioni assurde che presenta quanto alla regia di Edgar Wright, uno tra i miei registi preferiti) e una storia piuttosto fedele al fumetto (pur con i necessari tagli e un paio di cambiamenti che personalmente a me non piacciono granché), era riuscito a guadagnarsi il titolo di classico di culto, nonostante il suo fallimento immediato al botteghino.

Una pellicola adorabilmente caciarona e stravagante, quasi un B-Movie nel cuore, ma con una scrittura brillante, serrata e divertente.

Ma gli appassionati del fumetto avevano sempre desiderato una serie animata della storia che tanto amavano (complice anche una breve animazione promozionale uscita in concomitanza con il film), dunque potrete capire l’eccitazione generale nel sapere che Netflix stava lavorando a uno show su Scott Pilgrim, in collaborazione con l’autore originale nientemeno.

Notare però che, nell’introdurre Scott Pilgrim Takes Off all’inizio dell’articolo, l’ho definita “ambientata nell’universo di Scott Pilgrim“, piuttosto che con un ben più laconico “adattamento di”.

Questo perché (SPOILER se non l’avete ancora vista), in verità, Scott Pilgrim Takes Off è un adattamento abbastanza fedele del fumetto solo nel primo episodio, al termine del quale succede un evento inaspettato, un colpo di scena che cambia completamente la storia e il protagonista principale, passando da Scott a Ramona (suo interesse amoroso nell’opera originale). Il che apre il sipario a scenari assai differenti.
Insomma, è una serie completamente nuova rispetto al fumetto, ambientata in quello che potremmo definire un universo alternativo, che si propone di espandere il franchise di Scott Pilgrim.

Se dicessi che la pur coraggiosa decisione non abbia pagato, mentirei.
Nonostante il sito non sia sempre attendibile per determinare la qualità o meno di un prodotto, su Rotten Tomatoes i voti tanto di critica (98%) quanto di pubblico (86%) sono estremamente alti.
Anche sui vari social abbondano le impressioni positive, da chi era magari dubbioso nel momento in cui la serie ha preso un’altra piega però poi ha amato il proseguiemento, a chi è rimasto incollato dall’inizio alla fine del viaggio.

Certo, non sono mancate le critiche e le persone deluse. Chi sostiene che lo show di Netflix, pur espandendo certe situazioni e dando più spazio a determinati personaggi, appiattisca eventi e morali del fumetto, oppure che alcuni personaggi siano caratterizzati peggio che nell’originale.
Ma non voglio entrare nel merito di tali analisi nello specifico, perché non è questo l’intento dell’articolo.

Qual è, dunque, la ragione per cui sto dedicando il mio tempo a scrivere di Scott Pilgrim Takes Off?
Tutto giace nelle parole che il creatore, Bryan O’Malley (il quale, ricordiamolo, ha partecipato attivamente alla produzione dello show) ha rilasciato in un’intervista.

Il punto era questo, non volevamo fare la stessa cosa. L’idea di trascorrere tre anni a rifare esattamente la stessa cosa che avevo fatto vent’anni fa era spaventosa.

Fonte: Comicbook.com

Il discorso viene poi continuato da BenDavid Grabinski, produttore e scrittore di Scott Pilgrim Takes Off.

Guardare i primi venti minuti del primo episodio potrebbe aiutare a capirlo. Se ogni momento è vissuto all’ombra dei libri e del film, stai solo giocando a trovare le differenze. Non stai raccontando una storia emozionante e coinvolgente, sei solo qualcuno seduto lì con le braccia incrociate che dice: “È bello come il fumetto? È bello come il film?” Per me sarebbe terribile.

Fonte: Comicbook.com

Anche qui, non entrerò nel merito delle decisioni e dei sentimenti personali delle persone coinvolte nel progetto, né voglio discutere del marketing per la serie (che è stato effettivamente un po’ “ingannatorio” – ma volutamente, per esacerbare l’effetto sorpresa).

Ciò di cui voglio discutere sono invece le dichiarazioni degli autori, che lascerebbero quasi dare a intendere che non ha senso realizzare un adattamento di qualcosa che è già stato fatto in un altro medium.

Da qui in poi, nulla sarà più come prima…

Ebbene, io non sono per niente d’accordo.

Non penso che sia ciò che intendessero esattamente, ma il loro mindset mi ricorda tanto coloro che dicono, ai fan dell’animazione che attendono pazientemente l’adattamento animato di una serie: “Che senso ha aspettare l’anime, leggiti il manga”.

Medium diversi hanno linguaggi e tempi diversi. Le sensazioni e le emozioni che ti può trasmettere una determinata scena possono cambiare notevolmente da un formato all’altro.
Cosa, in verità, valevole in ambo le direzioni.

Non sto criticando Bryan e i produttori che volevano raccontare qualcosa di diverso. Potere a loro e viva la creatività.

Ma rimane un’opportunità mancata per tutti quei fan a cui sarebbe piaciuto vedere un adattamento come si deve del fumetto.
Il film è un buon adattamento, ma tralascia diverse cose e il finale è inferiore. Inoltre, per l’appunto, è un medium differente.

Tanto più che un “buon adattamento” non deve nemmeno essere per forza 1 a 1.

Prendiamo ad esempio la serie animata di Amazon Prime Invincible, basata sul fumetto di Robert Kirkman (creatore anche di The Walking Dead).

Quello di Invincible è un discreto adattamento che aggiunge o modifica elementi dal fumetto, ma per un buon 70-80% mantiene intatte premesse e situazioni della storia originale.
E funziona. Per la maggior parte, almeno. Qualche modifica secondo me non rende altrettanto, e in un paio di punti hanno proprio toppato rispetto alla controparte cartacea. Ma l’importante è che, nel complesso, la serie fila, è piacevole da seguire, percorre i binari della storia originale ma ti lascia curiosità su quali dettagli potrebbero lievemente divergere rispetto a quanto già conosci.

Un cambiamento rispetto all’originale di cui la serie di Amazon su Invincible avrebbe sicuramente fatto a meno. Chi sa, sa.

In maniera quasi diametralmente opposta, alcuni degli anime più famosi e apprezzati di tutti i tempi sono adattamenti quasi 1 a 1 dei rispettivi manga, pur con i dovuti adeguamenti narrativi, di ritmo o che altro per traslarli in un diverso medium: Fullmetal Alchemist: Brotherhood, Hellsing Ultimate, Death Note (almeno, nei primi 25 episodi), giusto per fare esempi mainstream che conosceranno quasi sicuramente tutti.

Nonostante siano adattamenti fedelissimi, riescono ad avere identità proprie grazie alle colonne sonore, le performance dei doppiatori, la qualità delle animazioni, la regia, le coreografie. E alle volte, perché no, anche qualche piccolo cambiamento che aggiunge o sostituisce taluni particolari che su schermo non avrebbero funzionato altrettanto rispetto che su carta.

Per questo trovo fallace l’argomentazione di O’Malley e Grabinsky, perché da come parlano sembra quasi che non valesse la pena fare un adattamento animato in considerazione dell’esistenza del fumetto e del film.

Il fumetto è l’originale, e fin lì ci siamo. Nessuno lo tocca, chiunque può recuperarlo in ogni momento. Ma non a tutti piace leggere, purtroppo. Poi, chi non si chiederebbe “Chissà come risulterebbe animata”, di fronte a una sequenza in un fumetto qualsiasi che gli piace?

E il film, per quanto bello e perlopiù fedele, tralascia pur sempre un mucchio di elementi e situazioni del fumetto e ne appiattisce diverse altre.

Quanto ti può dare, a livello personale, vedere animato un momento che ti ha particolarmente emozionato in un fumetto o un libro? Qui non si parla di “trova le differenze”, è proprio un’entità a sé stente che prende nuova forma, pur sulla base di qualcosa di preesistente.

Inoltre, ripeto, sono tutti medium diversi con linguaggi diversi. La stessa premessa di base può essere reinterpretata un numero di volte uguale a quante sono le persone che lavorano su un progetto.

Bryan e soci volevano creare un prodotto nuovo, piuttosto che un rifacimento del fumetto? Bene, è la loro storia, nessuno glielo vieta. E il risultato finale è stato largamente apprezzato, dunque direi che la decisione ha ampiamente ripagato.

Però il loro discorso sembra quasi dare ad intendere che non fosse necessario un adattamento animato, in virtù della presenza di adattamenti precedenti in altri formati.

Argomentazione che però, a mio dire, risulta infondata e fallace.

Tutto qui.

Ma questa era semplicemente la mia opinione. Voi cosa ne pensate?

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